Davanti alla Corte Costituzionale finisce il caso di una 16enne che si era rivolta a un consultorio per abortire senza dirlo ai propri genitori. Secondo il giudice tutelare coinvolto nella vicenda, si configura una violazione dei diritti dell'embrione
ROMA - La legge 194 sull'aborto arriva davanti alla Corte Costituzionale, che il 20 giugno esaminerà la legittimità dell'art.4 sulle circostanze che legittimano l'interruzione di gravidanza. Alla Consulta si è rivolto un giudice tutelare di Spoleto dopo la richiesta di una sedicenne di abortire senza coinvolgere i genitori.
La questione sollevata davanti ai giudici costituzionali riguarda l'interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni dal concepimento e la facoltà della gestante che accusi circostanze comportanti un "serio pericolo" per la sua salute fisica o psichica: secondo il giudice di Spoleto, tale norma viola in particolare, gli articoli 2, (diritti inviolabili dell'uomo), e 32 I Comma (tutela della salute) della Costituzione e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell'embrione, in quanto uomo in fieri.
Il caso è stato sollevato nell'ambito di un procedimento, riguardante una minorenne - nata nel 1995 - che aveva manifestato la volontà di sottoporsi a un aborto senza coinvolgere i genitori, e per questo si era rivolta a un consultorio familiare accompagnata dal fidanzato, anch'egli minorenne. La ragazza aveva espresso "con determinazione" di voler abortire non ritenendosi in grado di crescere un figlio, nè disposta ad affrontare un evento che per lei rappresenterebbe "uno stravolgimento esistenziale". Il giudice di Spoleto ha presentato ricorso alla Consulta citando anche una
sentenza della Corte di Giustizia 1 europea relativa alla nozione di "embrione umano". Il giudice relatore della causa sarà Mario Rosario Morelli.
Le norme. Se la donna è minore di diciotto anni, per l'interruzione della gravidanza è richiesto l'assenso di chi esercita la potestà o la tutela (articolo 12). Tuttavia, la legge afferma: "Nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera". E il giudice tutelare, "entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere l'interruzione della gravidanza".
FONTE:la repubblica.it